domenica 9 agosto 2015

ELOGIO DELLA LENTEZZA (E DELLA VESPA)


Da molto desideravo scrivere sulla lentezza in tempi che, ormai, non la permettono o che la traducono negativamente in quasi tutte le sue manifestazioni. Siamo come automi che corrono senza avere una meta che non celi un abuso del nostro tempo. In metropolitana o in auto non cambia: non possiamo permetterci un'andatura o una velocità  più naturali che consentano anche solo di guardare quanto ci accade intorno. Da quando uso la mia vespa 150 sport del 1966 ne ho la chiara percezione. Sfrecciano davanti a me (a volte provengono da dietro, senza alcun preavviso) scooter accelerati che ripartono in pochi secondi lasciandomi ancora al semaforo mentre innesto la prima. Tutti tesi a superare il veicolo che li precede senza curarsi di invadere la corsia opposta. Con una velocità elevata e curve pennellate alla perfezione. Cose, lo ammetto, che non mi posso permettere. La vespa è instabile e capricciosa, con due piccole ruote infide: non è proprio il caso, vi assicuro, di metterla alla prova. E allora non mi resta che andare piano, apprezzare i luoghi, guardare di sottecchi il paesaggio che, quando scendo dalla Valfresca, si squarcia in un lago profondo e sempre nuovo nelle sue pareti verticali. Ascolto lo scoppiettio del motore a due tempi: forse non è poi così male la lentezza che in altri tempi si doveva necessariamente subire e che oggi può renderci anche solo un piccolo accenno di libertà.

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