lunedì 17 aprile 2023

LA VOCE (SBAGLIATA) DEL PADRONE


Il sottosegretario canturino è turbato: l’immagine della preghiera sul sagrato della chiesa di San Paolo lo preoccupa. Sentita la voce, subito corrono ai ripari i consiglieri leghisti, anch’essi inquieti per le occupazioni simboliche che preludono a chissà quali sostituzioni. Dimenticano però che la manifestazione ha avuto il patrocinio del Comune di Cantù e che la Commissione Cultura della Comunità Pastorale ha solo voluto proseguire il dialogo tra religioni e tra comunità vicine che la Lega vorrebbe tenere lontane.
Il sottosegretario neppure si è premurato di verificare che, contrariamente a quanto ha pubblicamente affermato, la preghiera non era riservata agli uomini, ma partecipavano anche le donne ed i bambini.
Ed ecco che, ben oltre l’autorità civile che pur rappresenta, coglie l’occasione per ergersi a difensore della fede, inciampando nel dialogo interreligioso che sarebbe legittimo solo se non si rinuncia ai simboli cattolici e cristiani.
Il passo resta oscuro e non si capisce chi avrebbe rinunciato a cosa: è così ostico, caro sottosegretario, il tema dell’accoglienza, anche sul sagrato della Chiesa (che resta cattolica e cristiana) di una comunità religiosa nei confronti dell’altra a cui è negato, dal Comune, per la quarta volta, l’uso temporaneo della struttura per il Ramadan che si è tenuto anche quest’anno solo per ordine del Giudice?
Ed ecco l’accusa alla Comunità Pastorale: consentire l’“occupazione” del sagrato – rivelando il proprio relativismo, il pensiero debole e la perdita d’identità – e chiudere l’oratorio di San Teodoro in cui il sottosegretario si è formato!
Torna, dunque, alla lotta “titanica” contro la Moschea (che sta costando decine e decine di migliaia di euro ai suoi concittadini) per concludere che il dialogo “significa confronto ma anche rispetto delle regole”.
Dimentica però che la vicenda di Assalam si è innestata solo quando la destra (Lega ed alleati) ha approvato, in Lombardia, una legge che la Consulta ha dichiarato incostituzionale nel 2019 per violazione del diritto di culto.
Invoca, quale condizione per il suo esercizio, la sottoscrizione delle intese tra Stato e comunità islamiche, dimostrando di non conoscere le decisioni della stessa Corte costituzionale: le intese previste dall’art. 8, terzo comma, della Costituzione non sono e non possono essere una condizione imposta dai pubblici poteri alle confessioni religiose per usufruire della libertà di organizzazione e di azione.
Perde, insomma, ancora una volta, l’occasione per tacere.