martedì 24 marzo 2020

EMERGENZA SANITARIA: UN RUOLO AL VECCHIO SANT'ANNA?



In questi giorni così lontani dalla quotidianità a cui eravamo assuefatti, ho preferito non scrivere nulla. Sono tempi terribili in cui ognuno di noi teme per sé, per i propri cari, per gli amici, per il nostro paese e per quest’umanità prostrata e dolente. Il disumano sfonda le porte ed entra nelle nostre case: tante, troppe persone morte senza il conforto delle persone care.  Sullo sfondo, così vicino, si stagliano i gravi problemi socioeconomici che dovremo affrontare nel futuro prossimo. Ho le mie riserve sui provvedimenti e sulle modalità delle Autorità sanitarie regionali ed anche nazionali. Ma ora occorre non perdere la speranza e costruire un fronte comune e compatto. Lasciamo le polemiche agli sciocchi, ai capponi di Renzo. Con questo intento mi pongo una domanda, considerata la curva epidemiologica attuale: abbiamo, al di là dei recenti provvedimenti organizzativi del Sant'Anna, una soluzione per il sempre crescente numero di pazienti contagiati? Penso ad una soluzione di buon senso, senza tirar fuori padiglioni fieristici, il San Martino o le caserme. In via Napoleona c’è la vecchia sede dell’ospedale. Con il monoblocco realizzato negli anni Settanta ed un padiglione (il Grassi) adibito al reparto infettivi sino al momento in cui è avvenuto il trasferimento. Si tratta di un edificio presidiato perché anche attualmente, come tutti sanno, ci sono gli ambulatori dell’A.T.S. Io credo che l’ipotesi della riapertura parziale del vecchio ospedale, al netto degli aspetti organizzativi, debba essere presa almeno in considerazione. Non sono a conoscenza dello stato attuale dell’edificio e della funzionalità degli impianti, ma credo che l’Autorità sanitaria debba attentamente vagliare un’opzione che sgraverebbe l’attuale struttura di san Fermo, già prossima alla saturazione. Un nosocomio che potrebbe diventare di riferimento anche per i territori vicini, in una posizione che, dal punto di vista geografico e sotto il profilo logistico, è sicuramente vantaggiosa. Sarei molto più cauto, invece, sulle possibilità di potenziamento del Sant'Antonio Abate di Cantù che ha mostrato limiti evidenti con il contagio di due medici e tre infermieri del reparto di ortopedia (determinandone la chiusura) e di un medico del pronto soccorso. Senza considerare che, secondo quanto denunciano i sindacati, gli operatori sociosanitari alle dipendenze di una Cooperativa presterebbero l’attività in carenza di dispositivi di protezione e senza fruire del servizio lavanderia dell’azienda ospedaliera. Le scelte di politica sanitaria dell’immediato richiedono il vaglio di ipotesi concrete e percorribili rapidamente, nell'interesse della collettività. Senza steccati ideologici e senza tatticismi politici.

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